Il testamento, un racconto firmato da Alfonso Indelicato
SARONNO – Estate tempo di relax e anche per coltivare le proprie passioni. Come ha fatto il consigliere Alfonso Indelicato che ha scritto un breve racconto che ha voluto condividere con i lettori de ilSaronno. Ve lo proponiamo in due puntate.
Ecco la prima
Nella lussuosa camera da letto della magione milanese di corso Venezia, immoto nel vasto letto matrimoniale, il grande uomo languiva.
Da quando le sue condizioni si erano aggravate, la giovane moglie si era fatta approntare un letto in una stanzetta contigua, da dove la notte riusciva a percepire i palpiti e perfino i sospiri di suo marito. Quando la stanchezza indotta dalle lunghe veglie aveva la meglio, allora pregava l’infermiera, assunta per l’occasione, di prendere il suo posto. Ma invero ciò accadeva di rado, perché Rosemary sapeva di dovere molto a quel grande uomo, e conosceva altresì cosa fosse la riconoscenza.
Aiace Montingelli sfiorava ormai i novant’anni. Quando la malattia, circa un anno prima, si era manifestata con un dolorosa sensazione al petto, come di una mano guantata di ferro che gli raspasse dentro, aveva subito capito che quella partita, l’ultima delle molte che aveva combattuto, egli non l’avrebbe vinta.
Ma del resto aveva avuto una vita paragonabile a poche altre, quanto a soddisfazioni. Era stato nella sua verde gioventù protagonista della guerra di Liberazione. Poi, onusto di onori e riconoscimenti, aveva utilizzato al meglio le sue doti espressive ed era diventato romanziere, mescolando nei suoi racconti epiche azioni di guerra e fuggevoli amori consumati di sfroso fra malghe e querceti. All’inizio la critica era stata titubante, avvertendo nel suo stile qualcosa di compiaciuto e lezioso. Ma poi una famosa casa editrice, assai vicina a un importante partito politico di opposizione, aveva deciso di pubblicare il celeberrimo e per alcuni insuperato “La moglie del federale” e da allora la sua fortuna critica e i riconoscimenti tangibili non erano mai venuti meno, anzi ad ogni stagione letteraria egli confermava il proprio successo, mentre altri narratori perdevano terreno o addirittura sprofondavano nell’oblio. Numerosi film erano stati tratti dalle sue opere, accrescendogli fama e ricchezza. Nelle more di tutto questo si era sposato tre volte con donne bellissime e per motivi diversi famose. Inoltre aveva ripagato il partito che dietro le quinte lo aveva sostenuto fiancheggiandolo in tutte le sue battaglie con frequenti prese di posizione pubbliche e coronando infine l’avventura politica con una trionfale elezione in Parlamento, anche se il suo apporto all’azione legislativa era poi stato – ma erano parole degli invidiosi – pressoché inesistente. Insomma Aiace Montingelli aveva avuto nella vita tutto quello che un uomo poteva desiderare, e ora poteva lasciare questo mondo senza rimpianti.
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Esmeralda, Anaïs e Rosemary si ritrovarono infine nello studio del famoso notaio Giuseppe Codicillo, noto a Milano come “il notaio dei vip”.
Delle tre, Esmeralda era di gran lunga la più attempata, anche se il volto scavato e severo recava tracce dell’antica bellezza. Nell’aprile del ‘44 aveva salvato Aiace dai rastrellamenti dei repubblichini nascondendolo in una baita arrampicata sulle pendici del monte Cistella e portandogli ogni notte un paniere pieno di cibo incurante delle pattuglie fasciste, del freddo, del buio, delle bestie acquattate nel bosco. Aveva, dopo la Liberazione, condiviso con lui gli anni pieni di entusiasmo delle prime affermazioni in campo letterario, rincuorandolo quando la critica lo stroncava, felice quando d’un tratto aveva principiato a esaltarlo. E quando egli l’aveva lasciata, aveva trovato la forza di non fare tragedie, anche perché i frequenti tradimenti dell’uomo l’avevano abituata all’idea che prima o poi la loro storia avrebbe avuto fine. Conservava ora, seduta sul divanetto di pelle accanto a Rosemary, un’attitudine composta, come di chi attende senza fretta gli eventi, non indifferente ma in fondo senza troppa curiosità.
Anaïs era stata la causa del primo divorzio di Aiace. Un po’ ninfa Egeria un po’ Pasionaria, era stata anche la persona che più di tutte lo aveva indirizzato sulla strada dell’impegno politico, affiancandolo nelle lotte per una società più equa e più giusta. Tutte le battaglie civili che avevano scandito il progresso sociale del Paese essi le avevano combattute fianco a fianco. Abbandonata infine per la giovane e bellissima Rosemary, la sua reazione era stata veemente e plateale, offrendo cospicua materia ai rotocalchi come ai quotidiani. Celebre era rimasta una sua intervista televisiva nella quale – dismesso l’usato stile misto di distacco e sofisticata raffinatezza e mostrandosi quale una vera Erinni – aveva accusato Aiace della più perfida ingratitudine, e profetizzato per lui, privo della sua guida dotta e illuminata, una lunga serie di sventure in tutti i campi dell’umana esperienza. Aiace, che aveva ormai ottant’anni e non era mai stato un litigioso, non aveva replicato. Ora Anaïs sedeva solitaria su una poltroncina, senza rivolgere alle altre due donne né uno sguardo né una parola.
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Il notaio Codicillo, che aveva ricevuto le convenute nella sua stanza personale, sedeva dietro l’immensa scrivania dall’apparenza di una plancia di aeroplano tenendo fra le mani una grande busta gialla. La mostrò alle clienti facendola scorrere davanti a sé da sinistra a destra e poi in senso contrario, in modo che verificassero che essa era intatta, con timbri e firme debitamente apposti dove i lembi erano incollati sul verso. Prese da un portapenne di cuoio un sottile tagliacarte e ne infilò la punta della lama vicino al lato superiore, procedendo con movimenti regolari e delicati a tagliarla lungo tutta la lunghezza. Poi ne estrasse alcuni fogli, riponendoli sulla scrivania di fronte a sé. Infine ne estrasse altri rigati, sui quali si distingueva facilmente la grafia grande ed estrosa di Aiace Montingelli.
“Questo non è il testamento” esordì il notaio. “Si tratta di una lettera che il Sig. Montingelli indirizza a tutte e tre voi, scritta circa un anno prima della morte, quindi quattro mesi prima del testamento. Il de cuius desiderava che vi fosse letta prima di quest’ultimo, del quale costituisce una sorta di premessa. Naturalmente il desiderio del defunto non è per voi vincolante: se non intendete ascoltare, passo direttamente alla lettura delle volontà. Ciò vale per ciascuna di voi, che può individualmente decidere di allontanarsi durante la lettura di questo messaggio”.
Eleonora e Rosemary si guardarono in viso, con un’espressione disarmata che significava: perché no? Anaïs ebbe uno scatto e aprì la bocca per dire qualcosa, ma subito ci ripensò e tacque. Il notaio attese un po’, osservandole attentamente una per una. Poi si schiarì la voce.
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“Cara Eleonora, mi rivolgo a te per prima con immutato affetto. So quanto mi hai voluto bene e quanto ti ho fatto soffrire quando ti ho lasciata. Pur tuttavia sento il bisogno di rivelare a te, così come pure alle altre mie care mogli Anaïs e Rosemary (poiché a tutte e tre ho voluto bene) chi io fossi veramente. Starà poi a voi decidere se rivelare al pubblico queste verità, o mantenerle segrete come sono sempre state. Credo che vi accorderete per tenerle per voi, ma mi affido al vostro giudizio: in fondo dove andrò fra poco non me ne potrà importare niente.
Io, cara Eleonora, sono sempre stato convintamente, sinceramente, profondamente fascista.
Ho creduto in tutto ciò che Mussolini raccomandava a noi giovani: amor di patria, virilità, ardimento, sacrificio, frugalità, e soprattutto ho creduto in lui. Sono stato figlio della lupa, poi balilla, poi avanguardista. Nel ‘44 avevo sedici anni, e mi arruolai volontario nelle Brigate Nere per riscattare la Patria dal disonore dell’8 settembre: la migliore gioventù italiana era con me. Dunque la mia partecipazione alla formazione partigiana di cui tu facevi parte non era altro che un’azione di spionaggio di cui ero incaricato dai miei superiori, e l’ordine di arresto allora spiccato nei miei confronti e diffuso mediante manifesti presso la popolazione era solo un espediente per avvalorare quella messa in scena. Capirai ora che in quella baita di cui ho parlato nel mio primo romanzo e che entrò a far parte della mitologia della Resistenza io, in verità, non corsi mai alcun pericolo”.
“L’unica ansia che provavo, in quel tugurio, era quella in attesa delle tue invero graditissime visite. Ricordi “l’attesa di Elena” nel “Piacere” di D’Annunzio? Quando Andrea Sperelli aspetta la sua amante nella garçonniere? Ecco, la mitica baita nel bosco altro non fu che una rustica garçonniere. A proposito, quello sì che era un grande scrittore. Io, diciamolo pure, non lo sono mai stato. Avevo la critica dalla mia parte, e di conseguenza le case editrici, gli organizzatori dei premi letterari, e giù giù fino ai manuali scolastici e ai professori di scuola, l’ultima obbediente ruota del carro. Tutti costoro mi hanno spacciato per un grande scrittore. Ma tu ed io sappiamo il perché di questo successo, vero?”
Eleonora era rimasta impietrita, tanto che un osservatore estraneo a quanto stava avvenendo avrebbe potuto pensare che non avesse udito, o non avesse capito quello era stato letto. Poi il suo viso finora impassibile cominciò ad alterarsi e gli occhi ad arrossarsi; e infine le lacrime ne fluirono, e fievoli, appena percepibili singhiozzi uscirono dalle labbra semichiuse, finché ella si coprì il viso con entrambe le mani rimanendo immobile in quella posa drammatica quanto sincera.
Il notaio si interruppe e, senza scomporsi, premette un pulsante sulla scrivania. Dopo poco la porta dell’ufficio si aprì, ed entrò col passo svelto e il fare disinvolto di chi è abituato ad affrontare simili circostanze la segretaria di rango più elevato, quella che gestiva il sancta sanctorum dell’ufficio. Teneva in una mano un fazzolettino bagnato nell’acqua fredda e, chinatasi di fronte ad Eleonora, dolcemente le scostò le mani dal viso e cominciò ad umettarglielo col fazzolettino. Il notaio attese che l’operazione si concludesse, sempre tenendo il foglio fra le mani. Poi riprese la lettura.
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Commenti
Scrittura sciolta ma stile convenzionale e retrò. Aspirazione pierochiaresca. Contenuto fin qui prevedibile (pensando all’autore). Sulla citazione di quel gran trombone di D’annunzio avrei potuto scommettere e vincere.
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Mi ha trattato fin troppo bene, saluti