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L’artista Barbara Crimella, da Saronno al Giappone, fa tappa a Venezia: l’intervista

11 Settembre 2020

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L’artista Barbara Crimella, da Saronno al Giappone, fa tappa a Venezia: l’intervista
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SARONNO – Nei giorni in cui il Festival del Cinema ha sede a venezia, un altro festival è ospitato a Venezia: il festival del Vetro, con sede a Murano.”Drops of Life”, la scultura in vetro dell’artista, precedentemente esposta nel Museo del vetro di Murano, è stata spostata sull’isola di Giudecca, precisamente a Villa Heriot, proprio quando Venezia è sede del grande evento cinematografico. La scultura seguirà poi una terza tappa di questo progetto, esponendo in una sala affrescata di Casa Valiga, un edificio del 1400 a Bienno presso il Borgo degli Artisti.

Ma Murano non è il solo traguardo raggiunto dall’artista. L’artista quarantasettenne ha viaggiato in oriente, imparando e collaborando con artisti giapponesi in uno scambio culturale.
Con lei abbiamo parlato di questo, del suo rapporto con Saronno, in principio travagliato, di creatività e di emozioni.

Com’è nata la tua passione per l’arte? Cosa significa per te “fare arte”?

“Attraverso l’arte, riesco ad esprimere le mie emozioni e a guarire il mio stato d’animo. In qualche maniera, poi, trasferire i propri stati d’animo all’interno di qualcosa da dove è possibile guardarli, non fa che enfatizzarli. E’ una disciplina curativa: riesce ad emozionarmi, a farmi star bene. Le parole non riescono ad esprimere ciò che provo come l’arte fa – qualunque tipo di espressione artistica. E’ come se uno dicesse l’aria che respiri, per me è questo.”

Come si inserisce Saronno nel tuo percorso? Che ruolo ha la città?

“Saronno inizialmente mi stava un po’ stretta; in qualche modo sembrava che dovessi sempre essere a Milano, semplicmente perché era importante stare a Milano. Invece  mi sono trovata una nicchia di fornitori a cui sono legata da profonda fiducia. E’ un rapporto familiare. Ora Saronno, per me, è importante. Le persone mi conoscono come se fossimo parte della stessa famiglia: conoscono e hanno visto la mia evoluzione artistica. A volte mi sopportano, investono su di me anche in tempo. Ci divertiamo: per esempio, ho collaborato con delle carpenterie e allora creiamo inisieme qualcosa di artistico – uno svago, qualcosa di differente. Io mi affido alla loro capacità e alla loro esperienza, mentre loro ascoltano i miei desideri – cerchiamo di provare ad incastrare tutto per trovare un punto di incontro.”

In cosa consiste il tuo percorso artistico? Hai subito influenze da qualche corrente culturale? 

“Io ho frequentato l’accademia di Brera, ero iscritta a scultura. Mi piace collaborare con più artisti: lavorare con più materiali e collaborare con loro ti apre la mente e dà nuovi spunti alla tua creatività. Io, ad esempio, non lavoro con un solo materiale. Lavoro con le plastiche, con il ferro – e ogni volta scopro altri materiali per far sì che riesca a trasmettere la mia evoluzione in modo più chiaro. Ogni artista, quando lo studio attraverso esposizioni o ricerche che faccio, mi affascina per qualcosa: magari per il disegno, o mi vengono in mente le ceramiche di Picasso – uno può non essere affascinato da tutto il percorso artistico, ma ci sono alcune cose che in quel momento di vita ti rapiscono di più. E possono essere insegnamento e ispirazione.”

E proprio parlando di ispirazione, come affronti il processo creativo? Dall’ispirazione all’opera finale, cosa succede?

“Se mi sforzo nel cercare la l’ispirazione, non verrà mai. Quando devo realizzare qualcosa, prima faccio molta ricerca. Poi, magari, mi sveglio di notte e alle 3.30 del mattino e mi dico: “Ecco, ho trovato l’idea!”.
Potrebbe essere completamente diversa dallo spunto iniziale, ma è quel momento particolare in cui l’idea scatta.
Nella mia ultima ricerca, che si chiama “Le pieghe dell’anima”, è come se io andassi ad analizzare le emozioni interiori che uno ha. Nella quotidianità di tutti i giorni, noi non abbiamo mai la completa possibilità di ascoltare noi stessi, i nostri desideri: siamo presi dal lavoro, dal rapporto con altre persone. Quindi, se noi ci immergiamo nella natura, anche solo con camminate che riescono a staccarci fisicamente dalla quotidianità, riusciamo a liberare la mente. In quel momento in cui ti estranei da tutti i tuoi pensieri, riesci realmente ad entrare in contatto e ascoltare quello che dentro di te non riesci mai ad ascoltare. E’ come se potessi tracciare le linee di un diagramma, che sono le tue emozioni e i tuoi sentimenti – io le ho trasformate in forme, come se fossero delle pieghe. Si hanno emozioni contrastanti che si accartocciano o che fluiscono in una direzione per poi subire un cambiamento di umore o di idee. A quel punto lì, se le disegni, diventa una specie di piega infinita – che io trasformo in una forma tridimensionale e diventano quelle che chiamo “le pieghe dell’anima”.
Alla fine, ho dato a questo lavoro un’ulteriore evoluzione: ascoltando la natura, è come se ci riquadrassimo uno spazio nel tempo. Facciamo una specie di fermo-immagine. Mi sembra che questo lavoro possa portare ad un’evoluzione della ricerca verso alla sospensione temporale. E’ lo stato d’animo che tu hai nel momento in cui entri in contatto con te stesso: tutto si ferma e iniziamo ad ascoltare ciò che c’è dentro di noi.  Non è sempre piacevole, a volte siamo noi a non voler ascoltare.”

Come si colloca l’esperienza in Giappone in questi suoi studi? Hai subito influenze?

“Sicuramente ho imparato l’aspetto di attenzione e cura della natura: è qualcosa che ho sempre avuto, ma la cultura giapponese mi ha dato una grande forza.  Lavorare con loro ti porta ad imparare l’attenzione particolare per le anime delle persone: queste si trasformano in elementi naturali, in animali, piante, foglie; il rispetto che hanno nei confronti della natura è molto più di quello che abbiamo noi. Mi ha fatto aprire gli occhi e ascoltare un po’ di più.
Anche l’idea di dare attenzione al silenzio, o di non affidare niente al caso: ogni tassello è appoggiato, studiato, scelto e ispezionato da tutti i lati. Anche il taglio della pietra, viene eseguito da dei maestri di tagliatori di pietre, che hanno la capacità di creare un taglio apparentemente casuale, ma totalmente studiato. Cercano di tirare fuori la natura dell’elemento naturale con precisione, senza che sembri opera di una macchina. Si mantiene l’essenza naturale in tutto e per tutto. Da loro non smetterò mai di imparare.
Loro, d’altra parte, hanno imparato da noi artisti italiani la spontaneità: non sono abituati a dover risolvere una cosa all’improvviso – per così dire, noi abbiamo fornito un po’ di problem solving dell’ultimo minuto, loro hanno dato a noi l’attenzione alla natura. L’idea della sospensione temporale per fermarsi sulla natura è veramente una grande ricchezza, che dovremmo imparare ad applicare. Mi sembra che il momento di lockdown abbia portato tante persone ad entrare in contatto con spazi isolati; secondo me, per alcuni può essere stato un toccasana.”

Come hai vissuto tu il lockdown? E’ stato utile alla tua creatività?

Nel lockdown ho rincominciato a disegnare; era da tanto che non lo facevo. Ho scoperto l’idea di inventarmi un personaggio disegnato, cose che non si ha il tempo di fare durante la vita quotidiana. E’ una ricerca che devo ancora approfondire. E’ stato interessante soprattutto per il disegno, è stato un momento di prova con me stessa: invece di disegnare con la matita, ho usato il pennarello – mi dico di dover essere una persona sicura. Diventa un esercizio dove devi andare di getto, senza la possibilità di cambiare ciò che fai; mi aiuta a prendere coscienza di me.

Come vive un’artista la realtà del 2020, tra lavoro e riflessione artistica?

“Devo dire di essere fortunata: la mia creatività spazia per desiderio e per necessità. Il lavoro non mi vincola: sono una costumista e realizzo gli accessori; faccio i capelli, le scarpe, le barbe, la cartella della scuola. Sono sempre sculture: creo delle cose. Poco prima erano pezzi di gomma piuma, pezzi di coperte – e diventano cose. Ho collaborato con degli stilisti e, quindi, ho decorato giubbotti con graffiti, disegni con gli Uniposca. Sono sempre cose mie. Se ho carta bianca, pur seguendo le necessità e i desideri altrui, riesco a dare del mio meglio e vivere la mia creatività. Quando mi propongono un progetto, accetto sempre: sfido me stessa. Non è presunzione, mi diverto – mi tiene sul “chi va là” e mi mantiene giovane.”

(in foto: “Drops of Life”, “Blowing the wind” esposta in Giappone e l’artista accanto alla sua opera Shadow Sight.)

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Giulia Ariti
11 Settembre 2020
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