Da Saronno al Cile in bici, l’avventura di Carlo Motta al freddo di Uyuni
13 Settembre 2025

SARONNO – Carlo Motta, ciclista saronnese e attivista di Bicipace, è di nuovo in sella alla sua bici per una nuova avventura alla volta del Cile. Riceviamo e pubblichiamo il suo diario di viaggio dello scorso 7 settembre.
Mi sveglio contento e pronto a riprendere la bici per entrare nel salar più grande del mondo quello di Uyuni. Ma Uyuni, a differenza mia, si era svegliato male. Acqua e nevischio mi accolgono appena metto il naso fuori dall’hostal. Neve, acqua e vento freddo: impossibile pensare di entrare nel Salar con la certezza di arrivare all’Isla Incahuasi, nel centro del.deserto di sale, bagnato e dover campeggiare (non ci sono alberghi) a -8,-10 gradi°. Non è proprio cosa.
Aspetto un po’ ma non cambia nulla, il nevischio prosegue sino in tarda mattinata poi, verso mezzogiorno esce un sole malaticcio, velato da un sudario di nuvole grigie. E poi continua a soffiare un vento freddo che porta come un presentimento di sventura. Fischia tra gli edifici e si infila nelle fessure e sotto la giacca a vento. Non c’è né, giornata persa.
Il pomeriggio anche le previsioni meteo per domani sono precise: sereno e sole tutto il giorno ma con il vento che fischiarà ad oltre 60 km orari. Anche domani non se ne parla di usare la bici, impensabile pedalare in una piana di oltre 10.000 km quadrati senza nemmeno nemmeno un riparo.
Sono demoralizzato. Mi guardo allo specchio e sembro un Golden Retriver a cui hanno tolto la pallina. Basta. Mi scollego dai vari siti meteo, mando le previsioni al diavolo e esco a fare un giro in città. Impressionante, tutta la città, non solo il centro storico, è diventato un’isola pedonale.
Bambini che giocano a palla, ciclisti, pedoni, scuole di ballo ecc occupano le strade. Nella via principale un lungo e variopinto mercato animato da suoni e colori solari. Si vende di tutto: frutta, verdura, pane, alimenti vari, succo di canna da zucchero, abiti di varia foggia cover per telefono. Tantissime le tende in cui si cucina cibo di vario. Le donne indigene, tutte con un grande copricapo, sempre avvolte nelle loro immense gonne, sono accovacciate sulla merce o a terra. Lo sguardo immobile in attesa davanti alle loro povere merci.
Beh, questa animazione, questo melange di voci, colori, volti mi rimette un poco di buon umore. In una parte della strada una fila di griglie cuoce a ciclo continuo quintali di carne: costine, salsicce, bistecche e tanti tagli che non conosco. Rientro un hostal e faccio conoscenza con una copia di francesi, Anne sophie e Didier. I due hanno da poco iniziato un viaggio di un anno che li porterà tra l’america latina e l’Asia; Dedier è in pensione e Sophie ha preso un anno sabbatico. Per salvare, almeno in parte, la situazione decido di partecipare con loro ad un tour guidato al Salar per l’indomani.
Come me stanchi di mangiare carne organizziamo di cenare in hostal dove c’è una bella cucina a disposizione degli ospiti. Sophie preparerà omelette ed un sacco di verdure. Beh, è andata così. Oggi non ho toccato la bici e non ci salirò neppure domani ma, una volta passata la rabbia, ho vissuto comunque un sacco di esperienze.
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