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2000 battute

“2000 battute”: Il “prete fragile”
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“2000 battute”: Il “prete fragile”
Don Luigi Banfi, saronnese, poco più che quarantenne, appassionato di musica, coadiutore alla Bovisa e poi a San Satiro a…
19 Febbraio 2025
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“2000 battute”: le vigne in centro a Saronno
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Trecento anni fa, le vigne in centro città. Oddio, non proprio in centro, all’epoca il borgo di Saronno era poca…
12 Febbraio 2025
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“2000 battute”, “Eh, quante storie…”
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“2000 battute” I “Da Saronno” maestri armaioli nella Milano degli Sforza
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“2000 battute”: l’informazione locale nel 1888
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“Affermare i diritti, gl’interessi, la dignità di questo centro popoloso, interpretarne i bisogni, promuoverne le riforme economiche, amministrative, sociali, richieste…
4 Giugno 2023
“2000 battute”: il piroscafo “Saronno”
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28 Maggio 2023
“2000 battute”: Saronno, 1975: emergenza sicurezza
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17 giugno 1975: sulla prima pagina del “Corriere della Sera”, Giulio Nascimbeni, firma di punta del quotidiano di Via Solferino,…
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“2000 battute”: “Bei fior, sciori!”, i mughetti di Origgio
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“2000 battute” quando non c’era il superbonus
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16 Aprile 2023
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L’imperatore Federico Barbarossa assediò Milano e poi la rase al suolo (1162). Il comune di Milano da tempo era in…
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“2000 battute”: la storica rapina alla Cariplo di Saronno di Vallanzasca
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2 Aprile 2023
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Chi scrive, al momento, non è in grado di dire se questa rubrica riprenderà dopo la pausa estiva dei mesi di luglio e agosto. No, io e Sara non abbiamo litigato, si tratta di questioni relative alla sfera personale e alla professione.
In questi mesi, tante storie sono rimaste fuori dalla narrazione, in attesa di trovare spazio oppure l’ispirazione per essere raccontate.
C’è, ad esempio, la storia di “Rubeo de Uboldo”, brigante e ladrone del X secolo, responsabile dell’uccisione e del martirio di San Gemolo in Valganna. C’è la storia dell’architetto Lambros Dose, che frequentò Saronno tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del secolo scorso, scrivendo numerosi articoli sulla “Cronaca Prealpina”, nel dopoguerra animatore della vita culturale e artistica milanese e creatore nel 1963 del “Museo delle Cere” presso la Stazione Centrale di Milano.
C’è anche Cesare Lombroso, padre “scriteriato” dell’antropologia criminale, che alla fine degli anni Sessanta dell’Ottocento frequentò il Saronnese in occasione dei suoi studi sulla pellagra.
Ci si può imbattere nella storia della televisione italiana, con Mike Bongiorno ed Enzo Tortora in “Campanile Sera”, e Saronno protagonista della puntata numero zero del 1959 e di altre due puntate, in gara contro Giussano, Sarno e Montefiascone.
Si può riscoprire la storia di Don Luigi Banfi, sacerdote saronnese nominato parroco di Turate nel 1910 e fatto “morire di crepacuore” dalle sue “pecorelle”.
Ci sono le storie che raccontano le modificazioni del paesaggio nel corso dei secoli, come quella delle vigne che fino al Settecento trovavano posto all’interno dell’attuale centro storico saronnese, oppure quelle relative alle “infrastrutture” di una volta, come la Strada Luganese (o Cavallina) che da Saronno, passando per Rovello e quindi per la Bassa Comasca portava fino in Svizzera.
Guai a dimenticare lo sport, c’è la “stagione breve” dell’hockey su prato a Saronno, con la partecipazione ai campionati di serie A e l’organizzazione del torneo internazionale nel settembre del 1950, oppure le squadre di calcio della zona (Giovani Calciatori Saronnesi, Audentes, Velox Gerenzano) che nella seconda metà degli anni Trenta sopperirono all’assenza dell’FBC Saronno, allora inattivo. Purtroppo la leggenda familiare del nonno Peppino, che avrebbe parato un rigore a Valentino Mazzola, non ha ancora trovato conferma.
Ci sarebbero poi tanti altri personaggi meritevoli di attenzione, come il pittore Giacomo Mantegazza, oppure l’inquisitore Pietro Fusio (o Fusi), attivo a Siena nel Cinquecento.
E poi c’è la storia del piemontese Giovanni Maritano, appuntato a cavallo dei Carabinieri Reali, di stanza a Saronno, presso la caserma allora collocata nell’attuale Via Genova, ucciso in servizio a Caronno nel febbraio del 1893: da centotrent’anni, dal suo monumento funebre collocato all’ingresso del cimitero di Via Milano, prosegue nel suo servizio permanente effettivo per piantonare e vigilare sulla residenza della maggior parte dei saronnesi.
Care storie del Saronnese, abbiate pazienza, ci sarà sempre qualcuno che avrà tempo e modo di raccontarvi…

Alessandro Merlotti


Per le immagini:

  • https://minervanewscrispiano.blogspot.com/2018/12/gentiluomo-ricco-diniziative.html
  • https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Lombroso
  • “Corriere d’Informazione”, venerdì/sabato 6/7 novembre 1959, pag. 9


2000 battute (più o meno) fuori sacco
Storia locale e storie locali dal passato remoto agli anni più recenti, per provare a interpretare l’attualità rileggendo ciò che è accaduto. Storie e curiosità lette, trovate negli archivi o ascoltate negli ultimi trent’anni. Senza presunzione, cercando di imparare ogni giorno qualcosa in più.

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“L’arte non facile di modellare a colpi di martello il ferro fucinato toccò le vette eccelse di una perfezione meravigliosa durante il periodo del Rinascimento. Il merito di tanta perfettibilità spetta alla razza latina e in modo particolare agli artefici milanesi, che in quell’arte riescirono eccellenti. Questi modesti quanto intelligenti lavoratori del ferro seppero dare alle opere da loro fabbricate nobiltà di forme, […]. In quei capolavori di ferro battuto le linee del disegno, sempre geniale, sono purissime; l’esecuzione del cesellato o dell’agemina è perfetta; poderosa la resistenza di quelle delicate armature” (Gelli-Moretti, pag. 1).
A Milano, nel 1524, è attestata la presenza di “Messer Evangelista de Sarono, alias Armorero”: “Messer Evangelista non si arricchì solamente con la fabbricazione delle armi; ammassò pure e più specialmente danari nel commercio di quelle, ch’era più rimunerativo; e ne ammassò tanto di danaro, da essere tassato per duemila ducati annuali! Messer Evangelista abitava in Porta Orientale, nella Parrocchia di S. Paolo «in Compito». Ma da un documento successivo si deduce che i Saronno, malgrado la ricchezza, non abbandonarono l’arte di fabbricare le armi; poiché, in data 7 agosto 1539 troviamo una Lettera ducale […] per l’esenzione su i dodici figli di Bernardino Saronno, fabbricatore di armi” (Gelli-Moretti, pagg. 13-14).
I “Da Saronno” quindi affiancarono all’attività di produzione delle armi anche la commercializzazione delle stesse, sia sul territorio italiano, sia sui mercati tedeschi: “[…] alcune materie prime d’importazione rivestirono grande importanza per l’economia di Saronno. Fra questi, in primo luogo vi era il ferro ed il rame che qui veniva lavorato. Fonderie e botteghe per la produzione di manufatti di metallo erano anch’esse disseminate sul territorio dell’Alto Milanese. […] alcuni cognomi inequivocabilmente saronnesi o degli immediati dintorni presenti tra imprenditori e artigiani del settore non lasciano dubbi sul fiorire dell’arte del metallo anche nella nostra plaga. Nel Quattrocento incontriamo, a fianco dei mercanti, imprenditori ed artigiani dediti alla produzione di manufatti. Tra i mercanti si possono annoverare ad esempio, un Antonio Visconti, un Giannantonio Porri saronnese e quel Giannantonio Brasca, […] o anche un Francescolo de Homate della ricca famiglia degli Omati di Caronno. Ancora più note alcune figure, la cui origine familiare è stata individuata nel borgo, i da Saronno, e presenti sul posto erano segnalati anche i Missaglia, i più celebri fra i pur famosissimi armaioli milanesi, fornitori della casa ducale e di molte altre dinastie europee. Certo è che costoro si servirono di abili artigiani locali per la loro attività” (Cavallera, pag. 10).
“Sul finire del Cinquecento i fabbricatori d’armature cominciarono a diradarsi anche in Milano. Alla decadenza commerciale i pochi rimasti, tutti maestri di buon nome, tentarono invano di supplire con la valentia nell’arteficio squisito di un eccellente esecuzione. L’aumentata potenzialità delle armi da fuoco e la migliorata precisione del tiro resero quasi inutili, se non dannosi, quei pesanti ripari guerreschi”. (Gelli-Moretti, pagg. 26-27).

Alessandro Merlotti

Fonti:
Jacopo Gelli, Guida del raccoglitore e dell’amatore di armi antiche, Hoepli, Milano, 1900;
Jacopo Gelli – Gaetano Moretti, Gli armaroli milanesi. I Missaglia e la loro casa. Notizie, documenti, ricordi, Hoepli, Milano, 1903;
Jacopo Gelli, L’arte dell’armi in Italia, Istituto Italiano di Arti Grafiche, Bergamo, 1906;
Marina Cavallera, “Istituzioni e società civile a Saronno nei secoli dell’età moderna”, in Il Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno, a cura di Maria Luisa Gatti Perer, ISAL, Milano, 1996.

Per le immagini:

  • San Defendente, Chiesa di San Francesco, Saronno (inizio XVII secolo);
  • Mappa di Milano, di Daniel Stoopendaal (1704), https://www.storiadimilano.it/citta/mappe/mappe.htm;
  • Jacopo Gelli – Gaetano Moretti, Gli armaroli milanesi. I Missaglia e la loro casa. Notizie, documenti, ricordi, Hoepli, Milano, 1903: pagg. 10, 31, 37 e 40;
  • Jacopo Gelli, Guida del raccoglitore e dell’amatore di armi antiche, Hoepli, Milano, 1900; pagg. 148, 149, 166 e 226.

2000 battute (più o meno) fuori sacco
Storia locale e storie locali dal passato remoto agli anni più recenti, per provare a interpretare l’attualità rileggendo ciò che è accaduto. Storie e curiosità lette, trovate negli archivi o ascoltate negli ultimi trent’anni. Senza presunzione, cercando di imparare ogni giorno qualcosa in più.

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“Affermare i diritti, gl’interessi, la dignità di questo centro popoloso, interpretarne i bisogni, promuoverne le riforme economiche, amministrative, sociali, richieste insieme dalla equità e dal sentimento patrio; aiutare lo svolgimento intellettuale, morale e civile di questa fortunosa borgata con consigli saggi e imparziali; coltivare i migliori sentimenti dei suoi abitanti, i loro pensieri, il cuore, con una calda e amorosa parola d’arte che dal vero attinga la forza e che nel senso del bello rispecchi lo splendore del vero, - ecco il nostro fine, il nostro ideale”.

L’articolo di apertura del numero 1 (“Numero di saggio”) del periodico “Saronno”, di domenica 2 settembre 1888, dal significativo titolo “Preludio”, elencava i buoni propositi da coltivare: “Il programma di questo giornale è dunque sintetizzato nel suo titolo: Saronno. Cioè, non rappresenterà questo o quel partito, l’uno o l’altro interesse. No. Esso sarà l’espressione schietta e serena del paese nuovo, di tutta Saronno che si ridesta, che sorge a nuova parte sulla gran scena dell’attività umana; Saronno buona, allegra, operosa, forte; Saronno l’industriosa, coi suoi squisiti amaretti, colle sue erigende fabbriche, col suo celebre mercato, col suo Santuario […]. Saronno, colle sue molte ferrovie, colla sua Maschinen Fabrik; coi suoi opifici, le sue scuole, insomma la nostra cara Saronno, adorna di quanto offre il progresso civile, amministrativo, politico e morale”.

L’informazione locale, scarsamente “coperta” dai quotidiani milanesi (in primis dal “Corriere della Sera”, fondato nel 1876) o da altre pubblicazioni del circondario (quale ad esempio il “Piccolo Corriere” di Gallarate del 1888), necessitava di una voce più presente e soprattutto saronnese: di orientamento liberale (tiepido), rispettoso del clero e della fazione cattolica, il nuovo giornale (“Giornale Settimanale Politico-Letterario-Commerciale”) aveva sede in piazza Libertà (allora piazza Venezia), presso la “Tipografia Giacomo Volontè”: il primo numero venne “firmato” dal gerente responsabile Gaspare Mazzola, le altre sette uscite (fino all’ultimo numero di domenica 28 ottobre 1888) da un altro Mazzola, Zaccaria.

In quarta pagina (l’ultima) trovavano collocazione alcune inserzioni pubblicitarie: il “Collegio Mauri”, la ditta “E. Forni & C.”, la ditta “Davide Lazzaroni e Comp.” (“Soli proprietarii dell’antica specialità in Amaretti”), il “Ristorante del Commercio”, la ditta “Bernareggi Enrico”, l’Albergo “della Madonna”, l’Istituto Zambetti, la ditta “Torriani & Molteni”.

Gli articoli pubblicati alternavano argomenti di politica nazionale a temi locali. Tra i primi, ad esempio, si affrontavano la questione coloniale (“conquista dell’Abissinia”), la riforma giudiziaria, la “germanizzazione” dell’Italia, i difficili rapporti tra Italia e Francia (“La politica di Crispi e le smanie francesi”): in buona parte sembra di leggere un quotidiano dei nostri giorni. Anche a livello locale si trattavano temi che riecheggiano nella Saronno di oggi: la costruzione di un nuovo ed efficiente palazzo comunale, la sistemazione degli accessi viari alla stazione ferroviaria, l’edificazione di nuove scuole, la scarsa e poco efficiente illuminazione pubblica (a gas, anzi “a gaz”), le questioni relative alla insufficiente pulizia e al decoro delle strade e degli spazi pubblici.
Nulla di nuovo sotto il sole di Saronno…

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Storia locale e storie locali dal passato remoto agli anni più recenti, per provare a interpretare l’attualità rileggendo ciò che è accaduto. Storie e curiosità lette, trovate negli archivi o ascoltate negli ultimi trent’anni. Senza presunzione, cercando di imparare ogni giorno qualcosa in più.

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Somalia, 1950.
A cinque anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, le Nazioni Unite assegnano i territori somali in amministrazione fiduciaria all’Italia, al fine di condurre il paese africano all’indipendenza (realizzatasi nel 1960).
Tra le navi impegnate nei trasporti di materiale ed equipaggiamenti militari per il corpo italiano di sicurezza c’è anche il piroscafo “Saronno”, che martedì 28 febbraio getta l’ancora nel porto di Mogadiscio.
La nave da trasporto è di recente costruzione, ma nei primi anni di utilizzo ha vissuto diverse avventure e ha viaggiato per mari e oceani: si tratta di un’imbarcazione di produzione statunitense, una delle 2710 unità facenti parte della classe “Liberty”, tra le principali unità navali da carico utilizzate dai paesi Alleati nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Le navi della classe “Liberty” rappresentano un modello di nave cargo standard (stazza di 14245 tonnellate, lunghezza di 134 metri, larghezza di 17 metri, altezza di 11 metri, con motori di potenza complessiva pari a 2500 hp, velocità massima di 11 nodi), solitamente armate alla costruzione per motivi di difesa con uno o due cannoni da 76 o 127mm e varie mitragliere. Si può avere un’idea della capacità di carico e trasporto di questo tipo di imbarcazioni nel periodo bellico: 300 carri ferroviari, oppure 2840 jeep, oppure 230 milioni di munizioni, oppure 440 carri armati leggeri, oppure 3.330.000 razioni C.
Il piroscafo “Saronno” viene costruito per il governo americano nei cantieri navali di San Francisco, qui viene varato il 28 giugno 1943 con il nome di “Charles Robinson” (politico californiano della seconda metà dell’Ottocento).
Dopo la fine del conflitto mondiale la nave fa parte del contingente di 100 unità che il governo americano fornisce all’Italia, nel 1947 viene acquisita e registrata dalla “Compagnia Italiana Marittima” e ribattezzata con il nome di “Saronno”. Le “Liberty” italiane per diversi anni operano nei trasporti transoceanici di materiale e merci (capaci di trasportare negli USA anche 1100 auto Fiat a viaggio).
La nave viene disarmata e demolita nel 1963 nei cantieri navali di La Spezia.

Alessandro Merlotti

Fonti:
https://www.spesturno.it/libretto/pics/giovanni/schede%20tecniche/sc-saronno-s.htm
https://vesselhistory.marad.dot.gov/ShipHistory/Detail/910
https://it.wikipedia.org/wiki/Liberty_(navi_trasporto)
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_Liberty_ships_(A%E2%80%93F)
https://en.wikipedia.org/wiki/Charles_L._Robinson
“Il «Saronno» a Mogadiscio con equipaggiamenti militari”, in Corriere d’Informazione, a. VI, n. 50, martedì/mercoledì 28 febbraio/1 marzo 1950, pag. 1

Per le immagini:
https://vesselhistory.marad.dot.gov/ShipHistory/Detail/910
https://en.wikipedia.org/wiki/Charles_L._Robinson
Corriere d’Informazione, a. VI, n. 50, martedì/mercoledì 28 febbraio/1 marzo 1950, pag. 1

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Storia locale e storie locali dal passato remoto agli anni più recenti, per provare a interpretare l’attualità rileggendo ciò che è accaduto. Storie e curiosità lette, trovate negli archivi o ascoltate negli ultimi trent’anni. Senza presunzione, cercando di imparare ogni giorno qualcosa in più.

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17 giugno 1975: sulla prima pagina del “Corriere della Sera”, Giulio Nascimbeni, firma di punta del quotidiano di Via Solferino, commentava un fatto di cronaca, l’omicidio di Luisa Fantasia, moglie di un carabiniere, nel quartiere milanese di Baggio, ad opera di un gruppo di “balordi” di Saronno, "bassa manovalanza" della 'ndrina dei Di Giovine – Serraino, che a Milano faceva capo a Maria Serraino, passata alla storia come "nonna eroina".
Nello stesso giorno, Dario Fertilio, inviato a Saronno del “Corriere d’Informazione”, così scriveva:
“Il delitto di Baggio e la pista che ha condotto in provincia di Varese sembrano aver sollevato vecchie pietre, lasciato allo scoperto per la prima volta un sottomondo da cui si preferiva distogliere lo sguardo. Perché Saronno, città industriale di 40 mila abitanti, senza disoccupazione, maggioranza assoluta democristiana fino a ieri, si è messa a esportare violenza nella metropoli milanese?
Vengono [i presunti assassini], sembra fin troppo facile dirlo, da Piazza Cadorna a Saronno. Lì c’è un edificio modesto, una tranquilla stazioncina che dal treno si nota appena. Invece, nei corridoi e nelle sale di aspetto, sui marciapiedi e fin sul piazzale all’aperto, là si trova il mercato del crimine. Dopo il tramonto del sole in piazzale Cadorna si mette piede soltanto per prendere il treno, senza voltarsi indietro. Decine di persone, dai 14 ai 60 anni, aspettano soltanto un ingaggio o un “cliente” da spennare. Si gioca a dadi con puntate di milioni per sera in mezzo alla piazza, perfino sulle strisce pedonali. «Tempo fa», dice il sindaco Augusto Rezzonico, «mi sono avvicinato per vedere bene quella porcheria. Mi ha fermato un tassista e mi ha preso per il braccio. Ha detto che era meglio girare al largo». «Ci vuole poco a entrare nel giro», dice un operaio, «basta mettersi alla stazione per qualche ora e aspettare». «L’ingaggio arriva, non c’è da dubitare». I commercianti del posto hanno protestato perché i clienti, ormai, non si fermano più a comperare nei negozi della zona. Ci sono state retate, arresti, sequestri di puntate illegali e droga: hashish, marijuana. Poi tutto è tornato come prima.
I carabinieri? Sono in tutto 15, e devono controllare una vasta area intorno a Saronno che comprende anche altri comuni. Nel cortile della caserma fino a poco fa c’era una «600» a pezzi e un pullmino: adesso è rimasto soltanto il pullmino. La tenenza dei carabinieri, degradata da pochi anni a stazione, sembra una cittadella assediata. «E’ anche un problema di immigrazione», dice il sindaco Augusto Rezzonico, […]. «C’è stata l’immigrazione ad alto livello in città: ha tenuto dietro alle nuove industrie e si è installata negli unici appartamenti disponibili, a carissimo prezzo. L’altra immigrazione, quella di massa, ha dovuto accontentarsi dei dintorni di Saronno. Sono case spesso cadenti, malsane. Chi ci vive si riversa a Saronno, finisce inevitabilmente in piazza Cadorna e diventa la manovalanza del crimine». C’è modo di porre rimedio a tutto questo? «E’ una lotta difficile – risponde. – Noi chiediamo la trasformazione della stazione dei carabinieri in tenenza e una riorganizzazione di tutto il servizio».
Francesco Cigliano, uno dei due pretori, nel suo ufficio è sommerso di pratiche. «Noi cerchiamo di reprimere – dice – ma la politica criminale si può fare soltanto con una politica sociale alle spalle. Qui stanno crollando tutti i valori: i giovani preferiscono il gioco delle tre tavolette al lavoro in fabbrica. E noi reprimiamo, reprimiamo, ma fino a quando?»”

Alessandro Merlotti

Fonti:
Giulio Nascimbeni, “Analisi di un delitto: perché tanta ferocia”, in “Corriere della Sera”, a. 100, n. 138, martedì 17 giugno 1975, pag. 1;
Dario Fertilio, “Perché gli assassini arrivano da Saronno”, in “Corriere d’Informazione”, a. XXXI, n. 137, martedì 17 giugno 1975, pag. 11;
https://www.wikimafia.it/wiki/Luisa_Fantasia

Per le immagini:
“Corriere d’Informazione”, a. XXXI, n. 137, martedì 17 giugno 1975, pag. 11;
Archivio Fotografico del Comune di Saronno;
https://museo.ferrovienord.it/it/header/stanza-b/saronno/
https://www.dannatavintage.com/2021/01/03/posti-di-blocco-vintage/

2000 battute (più o meno) fuori sacco
Storia locale e storie locali dal passato remoto agli anni più recenti, per provare a interpretare l’attualità rileggendo ciò che è accaduto. Storie e curiosità lette, trovate negli archivi o ascoltate negli ultimi trent’anni. Senza presunzione, cercando di imparare ogni giorno qualcosa in più.

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Nel mese della Madonna, alla fine dell’Ottocento, partivano alla volta di Milano i contadini di Origgio, diretti a piedi, di notte, al mercato di Porta Tosa.
Si ritrovavano a mezzanotte nella piazza della chiesa, al braccio un cesto con un centinaio di mazzetti di mughetti, raccolti dalla metà di aprile alla metà di maggio dalle donne, dai ragazzi e dai bambini nei boschi tra Origgio e Uboldo.
Andavano tutti insieme a Milano, in quattro ore coprivano a piedi il tragitto di venti chilometri, passando per Musocco, Porta Tenaglia (il “Borgo degli Ortolani”, oggi diventato la “Chinatown” di Via Paolo Sarpi), Piazza Duomo e da qui raggiungendo il mercato, collocato nell’odierna area di Porta Vittoria.
La giornata lavorativa così iniziava alle quattro del mattino, cercando di vendere i mazzetti di mughetti (“[…] una pennellata bianca e simpatica al grande quadro della nostra Milano […]”).
“Bei fior, sciori!”
Finito il mercato, i venditori improvvisati giravano stancamente per la città alla ricerca di nuovi clienti, mangiando in piedi quello che avevano portato da casa: i più bravi e fortunati potevano permettersi di tornare con l’ultimo tram delle sei di sera, spendendo 75 centesimi, gli altri affrontavano all’imbrunire il viaggio di ritorno, sempre a piedi, spesso da soli o a piccoli gruppetti. Il giorno dopo si andava in campagna, per la normale giornata di lavoro, finita la quale si riprendeva la strada per Milano. Così facendo, i contadini di Origgio andavano a Milano tre volte alla settimana, ad eccezione della domenica (“Perché i nostri preti non ce lo permettono. Noi siamo tutti buoni cristiani […]”).
“Bei fior, sciori!”
“La gente che compera i nostri fiori –continua il contadino- non pensa ai sacrifici che ci costano questi nostri meschini guadagni; non pensa che per essi noi dobbiamo perder le notti, passar le lunghe giornate in piedi, oppressi dalla stanchezza e dal sonno, colla prospettiva di quel po’ po’ di strada che ci resta da fare ancora […]”.
“Bei fior, sciori!”

Alessandro Merlotti

Fonti:
“Bei fior, sciori!”, in Corriere della Sera, a. XXI, n. 128, 10/11 maggio 1896, pag. 3.

Per le immagini:
Il mercato di Porta Tosa, 1906 (https://blog.urbanfile.org/2015/01/27/zona-porta-vittoria-milano-sparita-il-borgo-di-porta-tosa-da-popolare-a-signorile/);
Vanga e latte, dipinto di Teofilo Patini, 1884 (https://it.wikipedia.org/wiki/Vanga_e_latte);
Musocco, 1917 https://lagrandemilano.it/2023/02/07/lantico-comune-con-il-municipio-moderno-piu-bello/;
https://maps.arcanum.com/en/, mappa della Lombardia, 1829;
https://www.flickr.comphotoszikiarts49842111702;
Mons. Carlo Marcora, Origgio. Mille anni di storia, Scuola Tipografica San Benedetto, Viboldone, 1973, pag. 204, la piazza della Chiesa di Origgio, inizio Novecento.

2000 battute (più o meno) fuori sacco
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Domenica 6 maggio 1923 si inaugurò, a Saronno, il “Parco della Rimembranza”.
Era stato Dario Lupi, Sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione, stretto collaboratore del Ministro Giovanni Gentile, a redigere un’apposita circolare alla fine del 1922 (nelle prime settimane del governo Mussolini, dopo la Marcia su Roma), poi convertita in Regio Decreto il 3 dicembre 1923: si incoraggiava, in ogni città e in ogni paese del Regno, la costruzione di parchi o viali alberati dove ogni albero, piantato e curato dagli alunni delle scuole, ricordasse un caduto della Prima Guerra Mondiale, con tanto di targa identificativa presso ciascuna pianta. Sorsero così questi parchi, spesso in posizioni altamente simboliche, vicini ai monumenti ai caduti, nelle piazze centrali, presso le chiese parrocchiali o nelle vicinanze delle scuole.
Alla base di questa iniziativa c’erano anche elementi simbolici e tradizionali: l’albero, tema allegorico antichissimo (l’albero della vita nel Giardino dell’Eden), l’albero come “asse del mondo” e simbolo dei rapporti tra terra e cielo, l’albero a foglie cedue come simbolo di resurrezione, grazie al ciclo di vita, morte e rigenerazione, il tema nordico del “bosco sacro” o “bosco degli eroi”.
“Sorgan presto tutti, e crescano, questi alberi sacri, e si espandano, sì che ogni morto glorioso riviva nella divina vita vegetale, donde sembra scendere sui viventi un mistico effluvio di bontà!” (Giovanni Lazzerini, pag. 32).
Il Comune di Saronno scelse un’area (di superficie pari a mq 2000 circa) che anticamente faceva parte del giardino di Palazzo Visconti, delimitata a sud da Via Tommaseo (di recente formazione), a est dal torrente Lura (prima della sua tombinatura e dell’apertura di Via Gianetti) e a nord, appunto, dalla scuola elementare “Umberto I” (oggi scuola media “Leonardo da Vinci”), edificata tra il 1899 e il 1900. Il parco saronnese contava 187 piante, “[…] recinte ciascuna di un graticcio di legno sul quale è scritto il nome di un caduto”.
Alla cerimonia inaugurale parteciparono le autorità cittadine, “[…] il vescovo, i mutilati, i combattenti e tutte le Associazioni patriottiche. […] Il Presidente dei mutilati milanesi, Alessandro Gorini, ha tenuto il discorso inaugurale”.
Pare che, negli anni successivi all’inaugurazione, difettassero cura e manutenzione del parco, pertanto l’amministrazione comunale, per decisione del podestà Tettamanzi, deliberò nel 1928 di creare il nuovo “Viale della Rimembranza”.
In luogo del parco, negli anni Sessanta del secolo scorso, dopo quarant’anni dall’inaugurazione, una volta eradicate le alberature, si procedette con l’edificazione del consultorio comunale e dell’asilo nido di Via Tommaseo: le istanze legate alla “riforestazione”, al cambiamento climatico, alla formazione di “foreste urbane” e alla necessità di un grande parco urbano erano di là da venire…
Il Decreto Legislativo n. 42 del 2004 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”) ha ribadito che i “parchi e viali della rimembranza” superstiti (come quello, ad esempio, nel comune di Misinto) sono da considerarsi, a tutti gli effetti, beni culturali e paesaggistici.

Alessandro Merlotti

Fonti:

  • Notizie varie, in “Corriere della Sera”, a. 48, n. 109, 8 maggio 1923, pag. 6;
  • Per la più grande Saronno, in “Cronaca Prealpina”, a. XLI, n. 12087, 22/23 gennaio 1928, p.3;
  • Dario Lupi, Parchi e Viali della Rimembranza, Bemporad, Firenze, 1923 (si ringrazia la Biblioteca della Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza” per la concessione della copia digitale del testo con dedica dell’autore al Ministro Giovanni Gentile);
  • https://dati.camera.it/ocd/deputato.rdf/dr10831_27;
  • Michela Rosso, “Gli alberi del ricordo: il Parco della Rimembranza di Torino”, in L’architettura della memoria in Italia. Cimiteri, monumenti e città, 1750-1939, a cura di Maria Giuffrè, Fabio Mangone, Sergio Pace, Ornella Selvafolta, Skira, Milano, 2007, pagg. 375-383;
  • Testimonianza orale di Angelo Volpi, 2023.
    Per le immagini:
  • Collezione Privata Samuel Rimoldi (si ringrazia per la concessione e l’autorizzazione alla pubblicazione);
  • Dario Lupi, Parchi e Viali della Rimembranza, Bemporad, Firenze, 1923;
  • https://dati.camera.it/ocd/deputato.rdf/dr10831_27.

2000 battute (più o meno) fuori sacco
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Costruire, edificare, fabbricare sono sicuramente attività proprie del mondo animale, e soprattutto umane. Quello dell’edilizia ha rappresentato e rappresenta uno dei settori principali dell’economia lombarda, e quindi anche di quella saronnese. Da tempi remoti vi erano impiegati i "magütt" (parola antica di lingua gotica, poi confermata dai longobardi), vale a dire i manovali o garzoni dei muratori, questi erano chiamati “maister” (dal latino magister, maestro), in cima alla piramide gerarchica vi era il capomastro (“capmaister”), l’impresario edile al quale veniva appaltata l’opera e che sovraintendeva alla gestione del cantiere.
All’inizio del Novecento il settore dell’edilizia a Saronno prosperava grazie ai numerosi cantieri aperti per la realizzazione dei nuovi insediamenti industriali, a quelli per l’edificazione di case operaie e popolari, all’applicazione della “nuova” tecnologia del cemento armato, alla realizzazione di edifici scolastici e abitazioni private. Tra i capimastri operanti all’epoca a Saronno possiamo ricordare Francesco Airaghi con il figlio Cesare, Francesco Bulgheroni, Carlo Losa.
Alla fine del 1907, una commissione rappresentante gli interessi degli operai edili di Saronno inoltrò a capimastri e impresari un memoriale contenente alcune richieste per migliorare le condizioni lavorative e un elenco in bozza di “patti” regolanti i rapporti tra le due categorie, la Giunta Comunale si propose come “mediatrice”.
Si incaricò della redazione della bozza di convenzione tra la categoria datoriale e quella dei lavoratori l’ingegnere saronnese Cesare Brebbia, dal testo recuperato qualche anno fa nell’Archivio del Comune di Rovellasca possiamo dedurre che:

  • l’orario giornaliero di lavoro era di 8 ore nei mesi invernali, di 10 ore da aprile ad agosto;
  • vi erano due pause nella giornata, una (prevista solo da maggio a settembre) per la colazione, la seconda per il pranzo, di durata massima (nei mesi più caldi) pari a due ore e mezza;
  • la giornata lavorativa veniva distinta per ore, così pagate: muratori cent. 34, apprendisti cent. 25, badilanti cent. 25, manovali cent. 20, garzoni cent. 14;
  • “Nei giorni di Giovedì e Sabato grassi, Sabato Santo e Vigilia di Natale, tanto l’operaio che il capomastro avranno diritto di far cessare il lavoro alle ore 14, contro pagamento delle ore effettivamente consumate nel lavoro”;
  • era previsto un aumento di paga oraria del 15% per “il lavoro nei pozzi neri preesistenti e canali sotterranei annessi (scarlighe), fognatura sotterranea in sede stradale di raccordo a case abitate, come pure per i lavori eseguiti su scale aeree tipo Porta”;
  • “Nei lavori ove sono occupati almeno 25 operai è obbligo del capomastro di tenere una cassetta di medicazioni per i primi soccorsi in casi di infortuni, e l’impresa procurerà d’avere sul lavoro persona pratica per l’uso dei materiali contenuti nella cassetta di medicazioni”.

Buon Primo Maggio a tutti.

Alessandro Merlotti

Fonti:
ASCR (Archivio Storico del Comune di Rovellasca), cat. X, cartella 82, anni 1907-1917.

Per le immagini:
ABS (Archivio Brebbia Saronno);
Archivio fotografico del Comune di Saronno.

Ing. Cesare Brebbia, carte intestate capimastri/impresari edili saronnesi, muratori saronnesi (?), forse fine anni '60 / inizio anni '70


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È mattina, una colonna di fascisti, in fuga da Milano, percorre l’autostrada per Como, decisa a raggiungere il capoluogo lariano (Mussolini vi era arrivato la sera precedente) e da qui proseguire per la Valtellina.
“[…] un grave, feroce fatto di sangue avvenuto la mattina del 26 aprile 1945, quando sulle strade che si irradiano da Milano le colonne dei fascisti in fuga si incrociavano con le formazioni partigiane che marciavano sulla città. […]. L’automezzo, giunto nei pressi di Saronno, fu fatto segno ad alcuni colpi di fucile e di mitra, sparati da una esigua squadra di partigiani”.
“[…] ma la sproporzione delle forze era tale, che i fascisti ebbero la meglio. Essi avevano prelevato, alla periferia di Milano, come ostaggio, il Lattuada”, “[…] con l’evidente proposito di farsene scudo in caso d’uno scontro con gli insorti”.
La storia ha due protagonisti principali: la prima è Giuseppina Anselmi (o Anselmo), vent’anni nel 1945, ausiliaria del S.A.F., il “Corpo Femminile Volontario per i Servizi Ausiliari delle Forze Armate Repubblicane”, il secondo è Francesco Lattuada, la vittima.
“[…] dopo la scaramuccia obbligarono il giovane [il Lattuada] a scendere dall’autocarro. Fu allora che la Anselmi si sarebbe fatta avanti impugnando una rivoltella e senza una parola l’avrebbe scaricata sul prigioniero […]”. “Il partigiano cadde e venne poi finito da un sergente repubblichino, tale Oscar Mannao [facente parte del 2° Battaglione Brigate Nere “Marche”, giustiziato in Corso Italia a Milano il 27 aprile 1945]. Lo stesso Mannao tolse da una tasca dell’ucciso un portafogli e ne distribuì il danaro che conteneva”.
La versione dei fatti, riportata dai quotidiani nel dopoguerra, non combacia perfettamente con quanto realmente accaduto: la colonna fascista esibì inizialmente una bandiera bianca in segno di resa, i partigiani usciti allo scoperto furono colpiti e iniziò lo scontro a fuoco. Giunsero nel frattempo altri partigiani e il Prevosto di Saronno, che si propose come mediatore. Si arrivò ad una tregua, rapidamente disattesa dai fascisti, che aprirono nuovamente il fuoco e poi proseguirono per Como. Si contarono dieci caduti partigiani: Pietro Borella, Bruno Ferrario, Angelo Pagani, Mario Paleardi, Gaetano Codari, Luigi Fusi, Luigi Gelati, Francesco Lucini, Costante Caselli e appunto Francesco Lattuada. Tre furono i morti tra i fascisti, tutti appartenenti alla Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”: i fratelli milanesi Carlo e Luigi Boldizzoni (tenente il primo, ardito [soldato semplice] il secondo) e il sergente Luigi Cordini.
Alla fine di marzo del 1949 si tenne presso la Corte d’Assise di Milano il processo a carico dell’ex ausiliaria: la ragazza dichiarò “[…] di non aver affatto ferito, e poi di non aver colpito mortalmente”. La colpa dell’uccisione del partigiano Lattuada venne addossata al Mannao, ormai “uscito di scena”, avvalorò questa versione dei fatti anche il milite repubblichino Raffaello Pepi, detenuto a Lucca e già condannato a trent’anni di prigione, presente il 26 aprile 1945 a Saronno.
Nella sua requisitoria, il Procuratore Generale Moltoni ritenne l’Anselmi colpevole del reato di “mancato omicidio” e chiese una pena di 10 anni di reclusione. La breve camera di consiglio portò la Corte a giudicare l’ex ausiliaria “colpevole di tentato omicidio e di furto aggravato, ma essendo prevista per tali reati l’applicazione dell’amnistia” l’Anselmi fu prosciolta.
Buona Festa della Liberazione a tutti.

Alessandro Merlotti

Fonti:
• “Insieme in Corte d’assise un’ «ausiliaria» e un «brigatista». Un feroce episodio della fuga fascista rievocato all’udienza di stamane”, in Corriere d’Informazione, lun./mar. 28/29 marzo 1949, pag. 2;
• “Colpevole di tentato omicidio è assolta per amnistia”, in Corriere d’Informazione, mer./gio. 6/7 aprile 1949, pag. 2;
• “Scarcerata per amnistia l’ «ausiliaria» omicida”, in Corriere della Sera, gio. 7 aprile 1949, pag. 2;
• Giuseppe Nigro, Fuori dall’officina. La Resistenza nel Saronnese, A.N.P.I. Saronno, 2005, pagg. 77-80;
• Ricciotti Lazzero, Le Brigate Nere. Il partito armato della repubblica di Mussolini, Rizzoli, Milano, 1983;
• Fondazione della R.S.I., “Albo caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana”, a cura di Arturo Conti, ed. 2019, https://www.fondazionersi.org/caduti/AlboCaduti2019.pdf
• Marco Soresina, “Gli arditi della Legione Autonoma Mobile «Ettore Muti». Materiali per uno studio sociologico”, in Annali 2. Storia e strumenti di storia metropolitana milanese, a cura di Grazia Marcialis e Giuseppe Vignati, Franco Angeli, Milano, 1993, pagg. 325-346.

Per le immagini:
• Archivio fotografico del Comune di Saronno;
• https://mi4345.it/palazzo-carmagnola/

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Come rilevò San Carlo Borromeo durante la sua visita pastorale, nel 1569 si celebrava ancora la Messa nella Chiesa di San Solutore, anche se ciò accadeva assai di rado, più partecipate dai devoti erano le celebrazioni per la ricorrenza di San Sebastiano (20 gennaio).

Anche Luigi Sampietro, come riporta Padre Sevesi, registrò nel 1651 alcune notizie riguardanti la chiesa: San Solutore possedeva 27 pertiche di terra (mq 18.000 circa), era amministrata dal Santuario di Nostra Signora dei Miracoli già prima del 1557, vi si manteneva un romito, che raccoglieva le offerte per la messa festiva degli abitanti della Colombara (per la quale dallo stesso Santuario veniva inviato un sacerdote), si sostenevano le spese per il decoro dell’edificio sacro.
“San Carlo, zelantissimo del culto delle chiese, […], ordinò di restaurare l’altare, le finestre, le pareti, il pavimento e il soffitto, e di tenere chiusa a chiave la chiesa, perché non divenisse ricetto dei criminosi. Si ricordi la legge di immunità dei luoghi sacri, che era in pieno vigore” (Padre Paolo Maria Sevesi, Chiese di Saronno antiche e nuove, 1932).
Il beneficio di San Solutore passò dal Santuario di Saronno ad Antonio Bosisio, cancelliere di Balerna, quindi il Cardinale Federico Borromeo nel 1611 affidò San Solutore e i terreni di proprietà alla Collegiata di Arona.
Nel 1629 il prevosto di Nerviano, della cui pieve Saronno faceva parte, visitò la chiesa e stabilì che “San Solutore venga demolito quanto prima, perché non si tramuti in asilo o luogo di ricetto di gente scellerata a commettere in essa delitti. Tutto il materiale si trasporti per uso esclusivo della chiesa parrocchiale dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e nessuno ne sottragga, come finora si è fatto” (Padre Paolo Maria Sevesi, Chiese di Saronno antiche e nuove, 1932). La demolizione ebbe luogo nel 1633, il materiale di recupero fu utilizzato per costruire la nuova abside della chiesa parrocchiale. La casetta adiacente a San Solutore era stata già demolita nel 1621.
Fin qui le notizie “ufficiali”. Nel Catasto Teresiano o “di Carlo VI” (1722), i terreni dove sorgeva la chiesa e quelli di pertinenza (mappali 810, 825 e 826 del foglio XVIII) erano registrati di proprietà dei ”Reverendi Canonici di Arona”.
Cambiata la proprietà delle aree tramite compravendita, è molto probabile che alla fine del XIX secolo furono riutilizzate le “povere” fondamenta dell’antica chiesa di San Solutore per edificare il fabbricato d’abitazione con rustici ancora esistente nei pressi della stazione di Saronno Sud: le dimensioni in pianta ricalcano, abbastanza fedelmente, quelle del vecchio edificio sacro. A testimonianza della presenza della chiesa, vi è anche il toponimo della strada per “San Salvatore”, riportato nelle mappe del Catasto del Regno d’Italia, l’area nel frattempo era stata modificata dalla realizzazione della ferrovia per Milano, nei pressi era stato posto un piccolo casello.
“Disévan che là, in dovè ca gh’è ol Giandarmarìn (ga disan Binaghi) gh’era ona Gesètta: allora i bosch a rivavan finna lì…” (Vittorio Pini, 1993).

Alessandro Merlotti

Fonti:
• Padre Paolo Maria Sevesi, Chiese di Saronno antiche e nuove, Saronno, Tipografia dell’Orfanotrofio, 1932, pagg. 38-41;
• Vittorio Pini, La Colombera. Capsina Colombarium, Saronno, Trotti, 1993, pag. 52.

2000 battute (più o meno) fuori sacco
Storia locale e storie locali dal passato remoto agli anni più recenti, per provare a interpretare l’attualità rileggendo ciò che è accaduto. Storie e curiosità lette, trovate negli archivi o ascoltate negli ultimi trent’anni. Senza presunzione, cercando di imparare ogni giorno qualcosa in più.

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L’imperatore Federico Barbarossa assediò Milano e poi la rase al suolo (1162). Il comune di Milano da tempo era in guerra con Como, città fedelissima all’imperatore. Saronno e i villaggi circostanti, zona di confine, risentivano di questa situazione turbolenta e incerta.
Nello stesso periodo la Bolla di Papa Alessandro III (1169) attestava l’esistenza, nel territorio di Saronno, delle chiese di San Pietro e di Santa Maria, e fuori dal borgo della chiesa dedicata a Solutore, legionario romano del III secolo martirizzato e santificato con i commilitoni Avventore e Ottaviano (con questi spesso raffigurato nelle immagini sacre).
La chiesa si trovava in mezzo ai boschi nei pressi dell’odierna Cascina Colombara, nel medioevo denominata “Runchus S. Quirici”, lungo una delle tante “Comasinelle”, le strade che collegavano Milano e Como (nel nostro caso da nord a sud via Larga-via Miola-via Piave-via San Carlo e da qui a Caronno).
“Le poche notizie conservate ci descrivono un elegante edificio, situato nella solitudine dei boschi, costruito in istile comacino, di piccole proporzioni (cubiti 30 in lunghezza, 13 in larghezza e 12 in altezza). Aveva le finestrelle rettangolari, terminanti ad arco, l’abside con la volta, un bel rosone sulla porta d’ingresso, e l’atrio veniva sorretto da colonne con fregi di cotto. Le crocette sulle pareti, ornate di affreschi, ancora visibili nel 1569 [durante la visita pastorale di San Carlo Borromeo], indicavano che la chiesa era stata consacrata” (Padre Paolo Maria Sevesi, Chiese di Saronno antiche e nuove, 1932).
La volta della chiesa era coperta con semplici tegole e il pavimento era di mattoni. La facciata era decorata con dipinti raffiguranti la Madonna col Bambino, San Rocco e San Sebastiano, c’era anche “una bellissima scoltura di Gesù deposto dalla croce di molta devozione”.
La chiesa possedeva un beneficio di tredici pertiche di terra e una casetta collocata a mezzogiorno, con due stanze a piano terreno e due nel piano superiore, abitata da un eremita.
Nel 1499 la “Scuola di Tutti i Santi” destinava alcune offerte per il pozzo: è arrivata fino ai giorni nostri la fama del pozzo di San Solutore e della sua acqua particolarmente fresca e buona.

[continua…Buona Pasqua a tutti]

Alessandro Merlotti


Fonti:
• Padre Paolo Maria Sevesi, Chiese di Saronno antiche e nuove, Saronno, Tipografia dell’Orfanotrofio, 1932, pagg. 38-41;
• Enrica Rossi, Il borgo di Saronno nei secoli XIII-XIV e le origini dell’insediamento francescano, in San Francesco di Saronno nella storia e nell’arte, ISAL – Istituto per la Storia dell’Arte Lombarda, Milano, 1992, pagg. 23-80;
• Testimonianza orale di Gian Paolo Masini, Saronno, 2007.

Fonti per le immagini:
• https://mole24.it/2015/11/20/torino-i-santi-martiri-solutore-avventore-e-ottavio/;
• Fonti e studi d’umanismo saronnese, Guerra e pace tra Milano e Como dal Trattato in copia depositato presso il Convento di san Francesco di Saronno, a cura di Vittorio Pini con la collaborazione di Angelo Augusto e Marco Antonio Citterio, Saronno, 1986, allegato grafico mappa “Seronum Castrum et Burgus Mediolani Comitatus MCCLXXXVI”, disegno di Pietro Guzzetti.


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ORE 13.35, RAPINA ALLA CARIPLO

Saronno, venerdì 10 settembre 1976.
Sta finendo l’estate, o forse è già finita: sono lontani i giorni delle vacanze al mare, quando le radio in spiaggia trasmettevano a rotazione “Non si può morire dentro” e “Ramaya”.
Piove, tira un po’ di vento, e la temperatura arriva a malapena a quindici gradi.
Il campionato di calcio non è ancora iniziato: a maggio il Torino ha vinto lo scudetto, per la prima volta dopo la tragedia di Superga deve difendere il titolo.
Non è ancora iniziata la scuola, per l’ultima volta prenderà avvio il primo di ottobre.
Il Papa è Paolo VI, al governo c’è Giulio Andreotti, il sindaco di Saronno è il futuro senatore Dc Augusto Rezzonico.
Due mesi prima, dallo stabilimento Icmesa di Meda si è sprigionata una nube di diossina, che ha provocato quello che oggi conosciamo come “incidente” o “disastro di Seveso”.
Alle 13,35 davanti alla filiale della Cariplo di via Marconi si ferma un’Alfa Romeo 1750 di colore azzurro targata Milano. Si avvicina l’orario di chiusura, un gruppo di rapinatori entra nella banca, si tratta della “Banda della Comasina” o “Banda Vallanzasca”: ci sono Ettore Cavagna, Vito Pesce, detto “Pesciolino”, e Rossano Cochis, l’ex rappresentante di grissini diventato bandito, con loro c’è il capo, Renato Vallanzasca detto “il Bel Renè”. C’è anche Mario Carluccio, morirà due mesi dopo durante un conflitto a fuoco con la polizia a Milano, in piazza Vetra. I rapinatori prendono il denaro dai cassetti, il bottino è di circa diciassette milioni di lire. Inizia la fuga, ostacolata da una guardia giurata accorsa da una banca vicina, c’è un breve conflitto a fuoco, alcuni colpi finiscono all’interno del bar “Liberty” che si trova all’angolo con via Mazzini. Poi via, passando per Caronno Pertusella, dove la banda viene intercettata da un’auto dei carabinieri (uno dei militari sarà ferito), quindi i banditi passano da Cesate, poi da Cormano, alle porte di Milano si perdono le loro tracce. Arrestati nei mesi seguenti, saranno processati per i fatti di Saronno e condannati nel giugno del 1978.

Alessandro Merlotti

Fonti:

  • A.M.G. (Anna Maria Gandini), In cinque assaltano una banca a Saronno ma inseguiti abbandonano bottino e armi, in “Il Corriere della Sera”, anno 101, n. 213, sabato 11 settembre 1976, pag. 9;
  • Nuova condanna per Vallanzasca e i luogotenenti Cochis e Pesce, in “Il Corriere della Sera”, anno 103, n. 144, mercoledì 21 giugno 1978, pag. 10;
  • La Mala. Banditi a Milano, serie TV Sky (5 episodi), 2022, autori e registi Chiara Battistini e Paolo Bernardelli, coautore Salvatore Garzillo.

Per le immagini:
https://www.quattroruote.it/news/curiosita/2016/05/05/alfa_romeo_tutte_le_gazzelle_dei_carabinieri.html
https://www.flickr.com/photos/transaxle/5521233422
https://it.paperblog.com/vallanzasca-una-vita-in-fotogrammi-1978-301068/


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