Sfrattato e accampato al Parco, parla il sindaco di Solaro
Sta facendo piuttosto discutere in questi giorni il caso dello sfratto della famiglia Bonafede a Solaro, famiglia che negli ultimi giorni si è trovata a vivere in tenda al Parco Vita o al massimo ospitata da qualche amico. Adesso a parlarne, in via ufficiale ricostruendo nel dettaglio gli eventi, è il sindaco Diego Manenti:
«Certamente, la situazione di questa famiglia non è agevole, tanto più ora che si trova sprovvista di casa. E si sta facendo il possibile per trovare una soluzione dignitosa. Ma occorre fare alcune precisazioni utili solo a informare su quanto sta facendo il comune, su cosa è nelle possibilità dell’ente locale fare e su cosa invece non è nelle disponibilità possibili. La procedura di sfratto, prima di diventare esecutiva, è piuttosto lunga. Dal primo avviso all’esecuzione passano normalmente diversi mesi, così è stato anche in questa circostanza.
Quando il capofamiglia venne la prima volta in comune da me diversi mesi fa (fino ad allora nè lui nè il suo nucleo familiare era noto ai servizi sociali), raccomandai di usare il tempo che aveva davanti per la ricerca di un nuovo alloggio nel quale trasferirsi, dicendo che in questo caso avremmo valutato la possibilità di un aiuto che agevolasse l’ingresso (in genere è un contributo alla caparra anticipata che i proprietari di casa usano chiedere sottoscrivendo il contratto). Ci si preoccupò di intervenire presso la proprietà per individuare una soluzione che potesse rivedere la decisione di procedere con lo sfratto, ad esempio concordare un piano di rientro dilazionato del debito maturato, ma le relazioni personali erano talmente compromesse che non resero possibile alcun ripensamento. Nel frattempo, non vedo più la famiglia se non durante un ricevimento del pubblico due settimane fa… a sfratto eseguito. Alloggi alternativi non ne erano emersi, mentre si chiedeva una soluzione del problema seduta stante.
Evidentemente, messe le cose in questi termini, una soluzione giusta, decorosa ed immediata non c’è e non esiste. Partono gli interventi di emergenza, gli unici possibili. Come facciamo in tutti questi casi verifichiamo con i servizi sociali la possibilità di una temporanea sistemazione presso familiari o congiunti, ma risulta una strada non percorribile. Cerchiamo di capire se il nucleo sta cercando un alloggio, nel qual caso si potrebbe valutare una forma di contributo una tantum come compartecipazione alla caparra (ma serve che anche il nucleo faccia la propria parte): ci si dice che i costi sono troppo alti o che le richieste sono eccessive. Viene infine chiesto di entrare in un alloggio pubblico. Si fa presente, come già si fece nel primo incontro e vale la pena ribadirlo per conoscenza generale, che: l’ingresso negli alloggi di proprietà comunale è disciplinato da un bando e da una successiva graduatoria, che non viene stilata dal comune ma da Regione Lombardia; questa graduatoria viene comunicata al comune, quindi decorrono i tempi per i ricorsi e infine viene pubblicata in forma definitiva e vale fino al bando successivo; disattendere la graduatoria non è possibile, oltre che ingiusto: aprirebbe la porta a contenziosi con chi viene superato! Peraltro il nucleo in questione non è nelle prime posizioni di graduatoria, potendo contare su una fonte di reddito.
Viene offerto un primo contributo per il pernottamento in una struttura per le notti successive, lasciandosi con l’impegno di continuare la ricerca di un alloggio. Inizialmente sembra concretizzarsi un’opportunità che però non si finalizza. Finiscono i 500€ di sostegno ed arriva… la tenda al Parco Vita. In un successivo incontro in comune, si concorda un secondo (ed ultimo, temo) contributo equivalente per arrivare al giorno dello stipendio del capofamiglia, garantendo un interessamento presso terzi per trovare da mangiare, così che i 500€ possano essere usati per il solo pernottamento. Si ribadisce che non è immediatamente percorribile la strada dell’alloggio comunale e dunque occorre reperire un alloggio nel mercato privato, non necessariamente a Solaro, ma laddove se ne ravveda la disponibilità».
Si accostano casi come questo al trattamento riservato agli extracomunitari, che godono di 35 euro al giorno. Ora, per quanto difficile, va precisato che le due cose non sono… la stessa cosa. I 35 euro al giorno per i rifugiati sono risorse stanziate dallo stato centrale su un fondo nazionale ben preciso! Si può essere d’accordo o meno, ma non c’entra nulla con i contributi (pochi) di sostegno che gli enti locali possono offrire, attraverso la rete dei propri servizi sociali, ai cittadini residenti, quale che sia la nazionalità di origine. Non è vero che “gli stranieri hanno le case garantite e gratis!”: se ci si riferisce alle case comunali, valgono anche per loro le regole valide per tutti (giuste o sbagliate); se ci riferisce agli eventuali alloggi che si renderanno disponibili da privati nell’ambito dell’accoglienza diffusa (SPRAR) stiamo parlando di un progetto, appunto, di carattere nazionale, i cui fondi provengono dal centro.
Il punto è che il supporto a casi come questo (sono 3 in questo momento i nuclei familiari fuori casa a Solaro per sfratto da privati, e solo uno è in cima alla graduatoria delle case ERP, dunque prossimo assegnatario) è complicato e raramente risolutivo con sole risorse pubbliche, tanto più oggi per domani. Non si può aspettare di essere fuori casa per trovare una soluzione alternativa o per costruire un percorso insieme ai servizi sociali che puntino a trovare alloggi alternativi sul mercato privato! Se lo si fa pensando che il comune risolva il problema con una casa comunale si sbaglia perché le risorse pubbliche non sono infinite e qualunque soluzione non può mai prescindere anche da un’assunzione diretta di responsabilità. Il comune fa quel che può con le risorse che ha, tenendo conto della situazione di tutti. E lo fa anche quando si dice che… non fa niente».
13072017