Palloncini e 300 amici per l’addio a Michele
UBOLDO – Stamattina alle 10,30 era gremita la parrocchia dei Santi Pietro e Paolo per l’ultimo saluto a Michele Cassetti il 42enne uboldese che si è spento all’ospedale di circolo alle prime ore di domenica a causa delle ferite riportate nel drammatico incidente in cui è rimasto vittima nel pomeriggio di sabato mentre ci concedeva un giro in moto con il cognato.
In chiesa a circondare i familiari in un cordone di abbracci e affetto tantissimi amici e conoscenti: il sorriso di Michele, noto a tutti come Mitch ha riempito la chiesa grazie alle foto posizionate all’ingresso e accanto alla bara sull’altare. Al centro un’altra solare foto del 42enne avvolta da fiori bianchi.
A celebrare la funzione il parroco don Armando Colombo che nell’omelia ha ricordato “quanto fosse bello che ci fossero così tante persone ad accompagnare Michele nel suo ultimo viaggio”.
“Quello di oggi – ha continuato – non è un addio ma un arrivederci. Noi non siamo fatti per la Terra ma per l’eternità. Siamo fatti per un cielo ed una terra nuovi senza affanni. Lì ritroveremo tutti i nostri cari ed anche Michele. Adesso possiamo solo accompagnarlo ricordando tutto il bene che ha fatto perchè sono l’amore e la carità che donano la vita eterna essendo in grado di sconfiggere la morte”.
Al termine del funerale, prima del corteo che ha accompagnato la salma al cimitero cittadino, il lancio di tre palloncino due blu ed uno argentato a forma di stella con la scritta “ciao Michele”.
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27022016
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Commenti
Caro Cartesio,
tutto cambia, nulla è per sempre se non le leggi della natura che vanno accettate inevitabilmente senza condizioni.
E anche la morte, anch’essa irreversibile e inspiegabile nelle sue modalità, viene affrontata da chi rimane nei modi più diversi anche in funzione dei tempi in cui vive.
Oggi siamo in un mondo dove i mass-media spettacolarizzano tutto: la guerra, la fame, le malattie, la beneficenza, i disperati che muoio in mare, il vicino di casa che ammazza la moglie. E purtroppo ne siamo così assuefatti che anche il nostro stile di vita si adegua a tutto questo quasi istintivamente.
E’ vero. Tutto cambia, come dice lei (anche se sento nel fondo delle sue parole un retrogusto amaro come il mio). Ciò che rattrista nei tempi correnti è che i cambiamenti, come dice anche lei, non derivano più dalle modificazioni sociali o storiche ma dalla “cultura dello spettacolo” di cui siamo tutti permeati. Nel fondo sentiamo di non contare più nulla come individui; e allora sgomitiamo davanti alla prima telecamera di qualsiasi tv locale, imponiamo a tutti i nostri matrimoni sui piloni della luce o sui semafori, trasformiamo la morte di un conoscente in una kermesse dove a dirla tutta al centro ci mettiamo noi stessi più che il morto. Così va il mondo, ma a me è rimasto il gusto di non adeguarmi e il piacere di cercare altre strade.
Mi chiedo il senso di queste continue spettacolarizzazioni della morte e del lutto così in voga nei tempi correnti. Dove un tempo c’era silenzio, raccoglimento, riservatezza ora c’è teatralità ed esibizionismo; dagli applausi (non a caso, un tempo riservati solo alla morte della gente dello spettacolo) ai palloncini colorati, fino alle parole inutili e vacue (“sarai sempre nei nostri cuori” la più falsa e preferita). La morte del sacro, la morte della profonda religiosità che la morte richiedeva.
Poi, però, finite le esibizioni, il giorno dopo rimane il dolore vissuto, vero e lancinante, delle madri, dei figli, delle mogli, dei pochi amici veri, così stridente e vero rispetto al “dolore rappresentato” messo in piazza dal mondo il giorno prima.
Ammirevole ed esemplare il funerale di Umberto Eco: silenzio, compostezza, niente applausi osceni. Rito asburgico, hanno scritto i giornali, antico stile lombardo.