Alfonso Indelicato: “Gli italiani non sanno più scrivere”
SARONNO – “Gli italiani non sanno più scrivere”: questo il provocatorio titolo del comunicato a firma di Alfonso Indelicato, consigliere comunale saronnese di Fratelli d’Italia. Lo pubblichiamo integralmente.
La recente e nota denuncia dei seicento docenti universitari che lamentano le gravi carenze degli studenti italiani nell’esposizione scritta non è certo un fulmine a ciel sereno, piuttosto una sorta di certificazione ufficiale di una condizione ben conosciuta da chiunque abbia a che vedere con elaborati, di qualsivoglia finalità e natura, opera di soggetti giovani e meno giovani. Ora, per non limitarci a uno sterile “o tempora, o mores!”, dobbiamo necessariamente gettare uno sguardo indietro, oltre le nostre spalle. Ma poiché non intendiamo risalire ad Adamo ed Eva, né riteniamo possibile identificare una data precisa quale punto di partenza della presente situazione, facciamo semplicemente riferimento a una serie di fatti, che possiamo collocare storicamente a partire dagli scorsi anni ’80.
E’ in quel torno di anni, ad esempio, che i docenti di Lettere cominciano ad emarginare dalle loro lezioni la buona prassi del tema in classe. Il “vecchio” tema in classe, che induceva alla riflessione, che l’insegnante faticosamente correggeva con sottolineature e note in margine, note che lo studente doveva comprendere e meditare per trarne profitto ed emendarsi, viene esiliato con disprezzo e lascia posto ad approcci testuali tanto pretenziosi quanto inefficaci a fornire capacità espressive. Chi scrive ricorda ancora l’ingresso trionfale nei manuali scolastici della teoria della comunicazione di Jakobson, e il brivido di entusiasmo di molti colleghi (per fortuna non tutti) ai quali non pareva vero di abbandonare la toga impolverata del retore ed indossare il bianco camice dello scienziato. Si cessò di far svolgere il tema in classe (il temino, come dicevano alcuni distorcendo la bocca con disprezzo) e in compenso si proponevano alle classi dei brani cui seguivano le seguenti richieste: “distingui il mittente dal destinatario”, “identifica la funzione predominante nel testo”, “riassumi il testo in cinquantasei parole”. Una intera generazione iniziò così, oltre che a non saper scrivere, a provare ribrezzo per la letteratura proposta con questa scientistica chiave di lettura.
Non molto tempo dopo, fece il suo ingresso a scuola il combinato disposto dell’informatica e delle verifiche a risposte multiple. La struttura semplificata e insieme ramificata dei linguaggi informatici si sovrappose agli approcci effettuati in nome delle teorie linguistiche di marca slava o anglosassone, e la situazione peggiorò. Chi scrive ricorda benissimo un “formatore” inviato a scuola dall’Ufficio scolastico regionale – uomo in buona fede, infarcito di pedagogia di stampo deweyano, con lampi di fanatismo negli occhi – dichiarare a noi insegnanti riuniti in aula magna che nella scuola italiana vi era “troppo testo, troppo poco ipertesto”; e poi andarsene ilare e trionfante a diffondere il verbo altrove. Nessuno di noi carbonari amanti del vetusto tema in classe ebbe il coraggio di dirgli che l’ipertesto è la negazione della scrittura, poiché elimina i raccordi logico-sintattici, ara la consecutio temporum, annienta la coerenza interna del testo.
Quanto alle risposte multiple, esse furono sotto certi aspetti una vera manna dal cielo. Per gli insegnanti, in quanto consentivano loro di correggere le verifiche in pochi minuti; per gli studenti, che in breve affinarono una serie di tecniche atte ad ottenere buoni voti con poca fatica (accenniamo ad una tra le tante: se il primo della classe tossicchia tre volte, la risposta esatta è evidentemente la terza della serie). Naturalmente questa prassi, evitando la fatica di argomentare personalmente una risposta al quesito, non giovava certo alla capacità di scrittura. Quasi consolante pensare, a questo punto, che ne rimaneva già poca. Ora siamo qui a piangere insieme ai seicento universitari alle prese con le sgrammaticate tesi di laurea dei loro studenti, e a cercare una soluzione al problema. Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, dal canto suo e da par suo, fa quello che può. Il che consiste, a giudicare dalle recenti iniziative, nell’alzare sempre di più l’asticella dei titoli di studio necessari per accedere alle professioni. Fra poco, come sappiamo, per lavorare con i bambini da 0 a 3 anni ci vorrà la laurea; abbiamo seri dubbi, però, che ciò di per sé produrrà un miglioramento. Tanto tempo fa l’ortografia e la sintassi la insegnavano le maestre elementari che avevano soltanto il diploma, per di più conseguito al termine di un ciclo di studi di soli quattro anni. Ma, non si sa come, gli italiani sapevano scrivere.
Alfonso Indelicato
responsabile del Dipartimento scuola della Lombardia
Fratelli d’Italia Alleanza nazionale
07022017
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Commenti
COMUNICATO UFFICIALE
Sul fondativo tema dell’istruzione di egemonia popolare:
1) Se non si legge un prodotto della PROPAGANDA, far pesare l’ignoranza come giogo posto dai padroni sul collo arrossata del popolo.
2) Se non si legge un prodotto al di là della PROPAGANDA (ove ancora possibile) , è doveroso, perché nessun altro sa scrivere.
3) Il 68 è il Sol dell’avvenire e ogni (folle) critica ad esso deve essere redarguita
4) Chi non mette le virgole dove la segreteria indica, è nemico del popolo.
Un granitico plauso all’imposizione libertaria dei libri di Saviano nelle scuole.
Tutto il Potere ai Soviet!
Tutta la mia approvazione di mamma cinquantenne cresciuta a suon di dettati (con correzioni di errori evidenziate con doppio tratteggio in rosso), temi in classe mensili ed elaborati poco più che settimanali per compiti a casa.
Non da meno ricerche elaborate “a mano” leggendo e riassumendo le care vecchie enciclopedie con conseguente esercizio di sintesi.
Tutto tempo passato …. E c ‘era una sola insegnante per tutte le materie ….
È una questione di educazione, non di metodo. Se un ragazzo prende un brutto voto o, peggio, una nota, i genitori lo consolano e gli dicono di non preoccuparsi perché la colpa è dell’insegnante che non capisce… Un po’ di anni fa le mamme erano molto più severe e scuola e famiglia remavano nella stessa direzione. Faccio notare che oggigiorno i programmi scolastici sono più ricchi di contenuti rispetto a venti anni fa, ci sono un sacco di strumenti di ausilio allo studio, è più facile viaggiare, ma si apprende di meno. Si parla tanto di competenza, ma senza una solida base di conoscenza non esiste la competenza.
…lo penso anche io quando leggo certa robaccia…..
Signor Indelicato certo che anche leggere alcune volte non è mica facile.
Ma giunto “al fin della licenza io tocco” la domanda che si pone come mai solo seicento?
Forse che gli altri non sanno scrivere.
Poi grazie che una volta tanto non si è data la colpa al ’68.
le virgole le metta, per favore, Lei grazie!
Gentile Sig. Colombo,
ho iniziato la mia analisi dagli anni ’80 perché erano quelli i miei primi anni da insegnante. Ho visto quello che ho descritto. Avrei però potuto iniziare effettivamente dal ’68, oppure dalla “Lettera a una professoressa” di Don Milani, oppure ancora dall’istituzione della scuola media unica. In effetti sono tutte tappe di una progressiva semplificazione – per non voler dire scadimento – degli studi.
Sono d’accordo con la signora “Caronnese” che in sostanza dice che i problemi sono iniziati con il passaggio dai contenuti al metodo. Nella sostanza, io credo, la buona scuola consiste in due cose: l’amore dell’insegnante per la propria disciplina ed il rispetto profondo per i suoi studenti. Tutto ciò che è in più è pedagogismo. SalutiGentile Sig. Colombo,
sono partito dagli anni ’80 perché lì inizia la mia esperienza di insegnante. Avrei potuto in effetti iniziare dal ’68 (vissuto da me da studente)oppure dalla “Lettera a una professoressa” di Don Milani, oppure dall’introduzione della scuola media unificata. Sono tutti episodi di un progressivo abbassamento del livello degli studi.
Sono d’accordo con la lettrice “Caronnese” la quale dice in sostanza che il male è cominciato quando si è spostata l’attenzione dai contenuti al metodo. Nella sostanza la scuola consiste in due cose: l’amore per le proprie discipline e l’amore e il rispetto per i propri studenti. Il resto è pedagogismo.