Lettera aperta di Alfonso Indelicato al cardinale Delpini
SARONNO – Riceviamo e pubblichiamo la lettere aperta del consiglio comunale indipendente Alfonso Indelicato all’arcivescovo Mario Delpini.
Notizie di stampa hanno riferito la Sua presenza, Eccellenza reverendissima, nella giornata dello scorso 16 aprile, alle celebrazioni organizzate presso il Campo della Gloria del milanese Cimitero Maggiore.
Si tratta, a quanto si dice, della prima volta in cui un Cardinale ha presieduto a tale circostanza con le insegne del suo alto Stato e in attitudine benedicente.
Quale figlio indegno ma devoto di Santa Chiesa, mi permetto pertanto di indirizzarLe alcune riflessioni occasionate da questa Sua prestigiosa presenza, nonché una rispettosa richiesta.
Il 16 aprile Ella presumibilmente ha benedetto gli odierni rappresentanti, insieme a pochi protagonisti rimasti in vita, di quel movimento resistenziale che possedeva tante anime, la più numerosa e organizzata della quale era quella riconducibile al PCI, a sua volta organicamente collegato al PCUS.
Non vedo in questo non solo niente di male, ma neppure di discutibile. Infatti fra i partigiani comunisti militavano certamente persone in buona fede, che in nome dei valori di uguaglianza e di progresso – pur declinati in una dimensione terrena – rischiarono e spesso persero le loro vite. Inoltre la Sua presenza affiderà alla pietà divina giusti e peccatori, che non è a noi dato di discernere gli uni dagli altri.
Ella non può non sapere, però, che nello stesso ambito politico militarono numerose persone le quali coltivavano pervicacemente un lucido disegno politico e sociale discendente da una filosofia della storia prettamente materialistica. Questa filosofia conduceva ad identificare nel messaggio cristiano un ostacolo alla realizzazione di tale progetto, e a rimuoverlo con ogni mezzo, fosse pure la soppressione violenta di persone, di interi ceti sociali, di popolazioni che in esso si riconoscevano. Questa attitudine, già manifestatasi largamente in precedenti fasi storiche come del resto in successive per ogni dove nel mondo, si tentò di realizzarlo nella nostra Patria, durante la guerra civile tra il 1943 e il 1945 e nel primo dopoguerra. Di esso furono vittime non solo avversari combattenti, ma inermi cittadini, ed anche numerosi uomini di Chiesa, tra i quali accennerò a titolo emblematico al seminarista Rolando Rivi, ucciso in odium fidei a soli tredici anni da partigiani comunisti poco prima della fine delle ostilità.
Ella, Eminenza, ha deciso di arricchire con la Sua presenza il ricordo di questa epopea la quale, come ogni umana epopea, presentò luci ed ombre, e non sto qui a chiedermi se oggi essa venga richiamata più come eminente passaggio storico o come motivo di contingente polemica politica.
In tutta umiltà mi permetto però di ricordarLe che, a non grande distanza dal Campo della Gloria, è ubicato il Campo dell’Onore, nel quale sono tumulati tanti giovani militi della Repubblica Sociale insieme a tanti civili accusati di essere fascisti. La loro morte violenta risale spesso a diverso tempo dopo quella che è la fine ufficiale della guerra, ed è riconducibile molto più a spirito di vendetta che ad esigenza di giustizia.
I motivi delle numerose adesioni degli italiani alla Repubblica di Mussolini furono diversi, non tutti nobili né tutti ignobili. Vi fu chi aderì per desiderio di avventura, chi per trarre da quei turbinosi avvenimenti un arrischiato e ingiusto vantaggio personale. Moltissimi furono però quelli che aderirono – come nell’avverso campo della guerra civile – per rispettabili, anche se differenti, ragioni ideali.
Non starò a discutere queste ragioni. Sono solo a chiederLe se nei prossimi giorni, lontano dai clamori, vorrà trovare delle parole di pietà ed anche di comprensione pure per essi che non hanno giorno in cui essere ricordati, che ebbero sorte così amara e ingiusta non solo da essere uccisi – quasi sempre in modo arbitrario – ma di avere offesa anche la memoria.
Chiedendo la Sua benedizione, porgo deferenti ossequi.